ORGOGLIO GORIZIANO, QUATTRO INCONTRI IN SALA DORA BASSI

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"SONO ORGOGLIOSO DI ESSERE GORIZIANO”

QUATTRO INCONTRI DI TRAINING AUTOGESTITO

Arrivano a Gorizia da tutta la regione eminenti politici a insegnarci che essere goriziani significa chinare il capo di fronte ai diktat elaborati altrove. Sono buoni e ci dicono che l’identità ce la possiamo tenere tanto chissenefrega, ma se parliamo di cose serie, ovvero economia e finanza i tempi sono duri e qualcuno e qualcosa si dovrà sacrificare. Guardacaso, proprio Gorizia.

Di queste bufale che ci vengono propinate a piene mani e che trovano un valido sostegno in istituzioni sedicenti goriziane, ma che goriziane non sono più, si sono accorti alcuni giovani che mi hanno contattato per vedere di riportare almeno un po' di orgoglio e reattività a questa nostra città che negli ultimi anni ha subito scippi clamorosi, che nessun altro capoluogo regionale avrebbe sopportato.

Per farlo bisogna che i goriziani capiscano che la loro città è diversa da questo devastante storytelling che ci vogliono propinare giorno per giorno, con la tecnica della goccia cinese; che i goriziani capiscano che i suoi quarti di nobiltà politica, storica e culturale non sono secondi a nessuno. Un po' di sano orgoglio suvvia, cominciando a parlare pubblicamente dei nostri tesori, di quelli esposti – pochi – e di quelli – tanti -che giacciono nei caveau in qualche banca o semplicemente sono stati dimenticati, quasi sempre per ragioni ideologiche o ancor peggio, elettorali.

Sono i ragazzi di Forza Italia, che ringrazio, con cui abbiamo organizzato quattro incontri che si terranno nella sala Dora Bassi: training di orgoglio goriziano, si chiamano, e mirano a costruire un sano campanilismo che sappia contrastare con quello che impera giustamente a Udine o a Trieste, città che ad esempio, MAI avrebbero ceduto i loro musei a quella patacca chiamata Erpac. Si terranno in sala Dora Bassi, con inizio alle 18.30, a partire dal 15 marzo.

Il primo tratterà del Medioevo goriziano, di cui parlerò come giornalista e divulgatore nei settori cultura e turismo , mettendo in luce tutti i nessi che legano Gorizia a un territorio vastissimo e che una storiografia a dir poco mediocre ha sempre trascurato. Niente di noioso e tante cose che purtroppo non si conoscono abbastanza.

ANTONIO DEVETAG

 

MUSEI, PIZZE E SALATINI

L'INTERVENTO INTEGRALE DI SILVANO CAVAZZA 

Riceviamo e volentieri pubblichiamo. 

I commenti di gopolis sulla pagina FB goriziagorizia

 

L’assessore Torrenti va dicendo che fino al 1977 i Musei Provinciali di Gorizia erano proprietà statale. Se la notizia proviene dai fini giuristi della Regione che hanno redatto la legge istitutiva dell’ERPAC sarà vera. Oppure no. I politici regionali ci hanno abituato da tempo a dichiarazioni tanto perentorie quanto scarsamente corrispondenti alla realtà. Frequento il Museo Storico Provinciale (uso la denominazione originaria) da quasi cinquant’anni e di Stato ne ho visto assai poco, purtroppo, come anche di Regione. Alla fine degli anni Sessanta il Museo era amministrato da un anziano signore, funzionario contabile della Provincia in pensione, che arrivava a palazzo Attems a metà mattina col giornale sottobraccio, si intratteneva cordialmente con i frequentatori della sala di studio e poi si chiudeva nel suo ufficio lì vicino. C’erano due signore addette all’ archivio e alla biblioteca (praticamente come adesso), ma i custodi del Museo andavano a prendere libri e buste di documenti, spesso pesanti, in intricati depositi dentro e fuori l’edificio. Le stanze avevano arredamenti d’epoca, ossia vetusti, e riscaldamento con stufe a legna; d’inverno a usare il bagno al pianterreno si rischiava seriamente la polmonite. Infiniti gli orari di apertura, mattina e pomeriggio, perché allora gli impiegati pubblici osservavano l’orario spezzato; apertura anche il sabato mattina, come dovrebbe essere sempre. La biblioteca era miracolosamente fornita di tutto quanto veniva pubblicato d’interesse locale, comprese le tesi di laurea; gli inventari dell’archivio erano soprattutto quelli storici, a volte eccellenti, a volte limitati ad annotazioni incomprensibili, del tipo “Atti vecchi provinciali”, che nascondevano, per esempio, l’archivio politico della contea di Gradisca. Si potevano fare scoperte impensabili: la mia prima pubblicazione, nel 1972, ha riguardato un manoscritto di Tommaso Campanella conservato nell’Archivio Storico Provinciale (strano modo di passare i vent’anni. Cosa ci facessero codici di Campanella a Gorizia  all’inizio del Seicento è facile da spiegare: era diventato filo-spagnolo e anti-veneziano. come i nobili goriziani che lo leggevano).

Altri tempi. Nel corso degli anni il Museo è profondamente cambiato. Si è ingrandito e rinnovato, soprattutto dal punto di vista edilizio; ci sono stati innumerevoli spostamenti e traslochi. Alcune innovazioni, specie negli anni Ottanta, sono state provvidenziali;  altre soluzioni francamente mi hanno fatto storcere il naso, come l’aver collocato il museo della Grande Guerra negli ambienti cinquecenteschi di casa Dornberg, fatti restaurare filologicamente, con tanto di volte a botte, per accogliere armi moderne, divise militari e ricostruzioni di trincee. Molto più preoccupante comunque è stato che le nuove iniziative abbiano fatto spesso mettere da parte quelle precedenti, fino a relegarle in depositi inaccessibili. Dove sono andate a finire le raccolte etnografiche, la sala dedicata a Graziadio Isaia Ascoli, le collezioni archeologiche ed epigrafiche? Con le amministrazioni Brandolin e Gherghetta il Museo ha sempre più perso il collegamento immediato con l’area goriziana, per il quale era stato istituito, ampliandosi in direzioni diverse. Qualcuno dirà che ce l’ho sempre con il Museo della Moda; in realtà ce l’ho anche con il Museo della Grande Guerra, almeno per le acquisizioni (come la costosissima collezione Diaz) che sono state fatte al di fuori dell’ambito locale. Non mi pare giusto che il patrimonio artistico e storico goriziano rischi di andar disperso mentre si investono risorse nel mercato antiquario, a Trieste come a Londra, per prodotti che hanno origine e provenienze diverse. Prodotti, vorrei commentare, che non devono avere molta attrattiva per acquirenti più ricchi della Provincia di Gorizia, se erano sul mercato da anni. A Trieste, per esempio, non esiste un Museo della Moda, anche se la collezione Verchi, che è il nucleo principale di quello goriziano, mi pare sia interamente di provenienza triestina.

La provincia di Gorizia venne già soppressa nel 1923 e incorporata in quella del Friuli. Già allora fu posto il problema della destinazione delle raccolte e archivistiche e bibliografiche. Il ministro della Pubblica Istruzione del primo governo Mussolini, il filosofo Giovanni Gentile, su sollecitazione di Carlo Battisti, allora direttore della Biblioteca Governativa (erede della Studienbibliothek austriaca) e vero uomo di cultura, stabilì che l’Archivio Storico Provinciale dovesse venir incorporato nella biblioteca statale, facendo una deroga alla norma allora in vigore che i beni archivistici fossero di competenza del Ministero degli Interni. Anche a quel tempo appariva assurdo che le testimonianze dell’autonomia politica goriziana passassero all’Archivio di Stato di Udine, oppure rimanessero sotto un’autorità locale estranea, se non proprio contraria a essa: nel dicembre del 1922  oltre ventiduemila goriziani avevano sottoscritto una petizione contro l’annessione alla provincia del Friuli. Che tali documenti divengano adesso comproprietà del comune di Monfalcone, sotto la gestione dello stesso ente destinato a reggere e finanziare il Museo dei Cantieri Navali, può sembrare una barzelletta. Oppure la volontà di negare l’identità storica e culturale sia di Gorizia, sia di Monfalcone, a favore di una modernità indeterminata e fittizia: quel novello rinascimento italiano che Renzi predica ogni giorno alla televisione con tanta spavalda sicurezza.

C’è una forte continuità tra la linea del presidente Gherghetta e quella dell’assessore Torrenti, in piena corrispondenza con la gestione dei Musei Provinciali negli ultimi quindici anni. Torrenti dichiara di voler in primo luogo potenziare e ampliare il Museo della Moda, troppo sacrificato negli spazi attuali. Non gli interessano i libri e i documenti in cantina, le raccolte epigrafiche in ambienti inagibili, le testimonianze storiche e artistiche locali che vanno disperdendosi; la ricerca storica vera che il suo assessorato sta facendo morire d’inedia. Vuole fare mostre, possibilmente affittandole chiavi in mano dal circuito espositivo internazionale, come buona parte delle esposizioni di Villa Manin. Forse vuole continuare a fare acquisti sul mercato antiquario, che portano prestigio e articoli sui giornali. Assumere personale, disporre carriere, offrire consulenze, indire appalti. E poi stilisti, pubblicitari, mondanità, Vittorio Sgarbi (subito intervenuto in suo sostegno); inaugurazioni, vin d’honneur, pizzette e salatini. Insomma, gestire potere e relazioni, che è un modo molto proficuo di fare politica. Cosa porti tutto questo a Gorizia, o anche a Monfalcone, non so: certamente non riguarda la cultura. 

Silvano Cavazza.

 

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UNO SFREGIO A GORIZIA

05.08.2015 18:19
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