ORGOGLIO GORIZIANO, QUATTRO INCONTRI IN SALA DORA BASSI

BENANDANTI

"Paola Gonzaga, moglie dell’ultimo conte di Gorizia Leonardo, custodiva un segreto: era una benandante":  così comincia  il racconto di Roberto Covaz nella bella antologia dedicata ai Benandanti.  Benandanti, nonostante fossero frati, erano pure i protagonisti dell’omicidio delle case dell’Eremita, a Gorizia, avvenuto nel 1622. Storie fantasiose di benandanti in salsa isontino-bisiaca quelle proposte dal giornalista Roberto Covaz, che firma con altri dieci autori l’antologia “La compagnia dei benandanti” uscita da poco per Morgantieditori. Covaz ha scritto sei microstorie, sparse in svariate epoche, comprese nel capitolo intitolato “Il Sass de San Belin”. Il titolo evoca lo strano masso che si erge sul Carso nei pressi delle alture di Polazzo. Un masso intriso di storia, suggestioni, mistica. 'La Compagnia dei benandanti' è il primo titolo della collana Fabulae. In questa prima antologia undici bravi scrittori del Friuli Venezia Giulia, scegliendo il genere narrativo più confacente al proprio stile di scrittura, raccontano la loro versione sul mistero antropologico e religioso dei benandanti, i maghi-sciamani che si dedicano alla salvaguarda della Natura, ne proteggono i frutti, garantiscono la ciclicità delle stagioni e mantengono in equilibrio la forza della Vita e quella della Morte. Ognuno di loro ha liberamente scelto l’ambientazione storica e un luogo geografico della regione FVG trasformato in teatro narrativo.  Ecco ‘La Compagnia’ di scrittori: Lucia Burello, Stefania Conte, Roberto Covaz, Miriam Davide, Angelo Floramo, Paolo Gallina, Paolo Morganti, Paolo Paron Fabio Piuzzi, Pierluigi Porazzi, Pietro Spirito.

Carlo Ginzburg - I BENANDANTI - 1966 -  PREFAZIONE

Stregoneria e culti agrari tra Cinquecento e Seicento - Prefazione 

 

 

Ho studiato in questo libro gli atteggiamenti religiosi e, in senso lato, la mentalità di una società contadina - quella

friulana - tra la fine del '500 e la metà del '600, da un punto di  vista estremamente circoscritto: la storia di un nucleo di

credenze popolari, che a poco a poco, in seguito a pressioni  ben precise, si assimilarono alla stregoneria. Si tratta di una

vicenda finora ignota, che getta molta luce sul problema generale della stregoneria e della sua persecuzione . Dalla

documentazione analizzata emerge una grande varietà di atteggiamenti individuali. A insistervi sopra, si rischia di

cadere in un eccesso di pittoresco. Si è preferito, tuttavia, correre questo rischio, anziché servirsi ad ogni passo di

termini generici e vaghi come «mentalità collettiva» o «psicologia collettiva». Queste testimonianze friulane ci

mostrano infatti un intersecarsi continuo di tendenze della durata di decenni o addirittura di secoli, e di reazioni

assolutamente individuali e private, spesso addirittura inconsapevoli - quelle reazioni di cui apparentemente è

impossibile fare storia, e senza le quali, in realtà, la storia della «mentalità collettiva» finisce con l'ipostatizzare una serie di

tendenze e di forze disincarnate e astratte . Ma la caratteristica più importante di questa documentazione è la

sua immediatezza. Se si eccettua la traduzione dal friulano in italiano compiuta dai notai del Sant'Uffizio, è lecito dire che

le voci di questi contadini ci giungono direttamente, senza schermi, non affidate, come troppe volte avviene, a

testimonianze frammentarie e indirette, filtrate da una mentalità diversa e inevitabilmente deformante .

2. Quest'affermazione potrà sembrare paradossale. E qui veniamo all'interesse specifico di questa ricerca. Siamo

abituati a vedere nelle confessioni degli accusati di stregoneria il frutto della tortura e delle suggestioni esercitate dai giudici,

e a negar loro, pertanto, qualsiasi spontaneità. Più precisamente, le fondamentali ricerche di J. Hansen (1) hanno

mostrato come l'immagine della stregoneria diabolica, con tutti i suoi accessori - patto col diavolo, sabba, profanazione

dei sacramenti - si sia venuta elaborando tra la metà del '200 e la metà del '400 ad opera di teologi e inquisitori, per

diffondersi poi, attraverso trattati, prediche, figurazioni, via via in tutta Europa, e successivamente addirittura al di là

dell'Atlantico (2). Questa diffusione - ma è più esatto parlare di sovrapposizione dello schema inquisitoriale già accennato a

uno strato preesistente di generiche superstizioni - si attuò in forma particolarmente drammatica nel corso stesso dei

processi, modellando le confessioni degli imputati grazie ai due strumenti già ricordati: la tortura e gli interrogatori

«suggestivi». Tutto ciò è stato, come si è detto, documentato esaurientemente, ma quasi soltanto a livello colto, di

elaborazione dottrinale. Il tentativo di F. Byloff (3), di mostrare in una zona circoscritta la penetrazione nella

mentalità popolare della stregoneria diabolica schematizzata da inquisitori e demonologi, ha dato scarsi risultati.

L'eccezionale ricchezza della documentazione friulana consente di ricostruire questo processo con precisione e

chiarezza molto maggiori, mostrando come un culto dalle caratteristiche nettamente popolari come quello che aveva il

suo centro nei benandanti, venisse a poco a poco modificandosi sotto le pressioni degli inquisitori per assumere

infine i lineamenti della stregoneria tradizionale. Ma questa discrepanza, questo scarto esistente tra l'immagine proposta

dai giudici negli interrogatori e quella fornita dagli accusati, permette di attingere uno strato di credenze genuinamente

popolari, poi deformato, cancellato dal sovrapporsi dello schema colto. E' proprio in virtù di questo scarto, prolungatosi

per più decenni, che i processi dei benandanti costituiscono una testimonianza preziosa per la ricostruzione della

mentalità contadina di quest'età .

3. Questa ricerca vorrebbe dunque documentare e arricchire ulteriormente la linea di sviluppo già tracciata dal

Hansen. Più nuovo - anche se circoscritto - il contributo che essa può portare alla comprensione del significato e della

natura della stregoneria popolare, distinta dagli schemi colti di origine inquisitoriale . La polemica illuministica

(esemplificata, in Italia, da un Tartarotti) si era ovviamente, e

giustamente, disinteressata delle confessioni delle streghe: ciò che contava era soltanto la dimostrazione della barbarie e

dell'irragionevolezza della persecuzione, e i racconti delle streghe venivano liquidati come fantasticherie assurde o

confessioni strappate dalla ferocia e superstizione dei giudici. Un primo tentativo di interpretazione si ebbe con le ricerche

erudite della seconda metà dell'800, in cui le confessioni delle imputate di stregoneria erano viste generalmente come frutto

di allucinazioni derivate dall'uso di unguenti a base di sostanze stupefacenti, o da stati patologici, soprattutto

isterici. Ma gli studi più seri e documentati si volsero soprattutto - non di rado con un sottinteso polemico

anticattolico o anticlericale, più o meno esplicito - a spiegare le vicende e il meccanismo della persecuzione . Un vero

interesse per le credenze delle streghe, o presunte streghe, si ebbe soltanto (se si eccettua la simpatia romantica di Michelet

per la strega «ribelle») con le ricerche di un'egittologa inglese, M. Murray (4). Discepola di J. Frazer, e perciò interessata ai

problemi della magia e della mentalità dei «primitivi», la Murray non si limitò a sottolineare l'interesse delle

confessioni delle imputate di stregoneria da un punto di vista etnologico o folkloristico. Rovesciando paradossalmente

l'impostazione diffusa - ma più che di impostazione ragionata si trattava di un atteggiamento istintivo - essa rivalutò

l'attendibilità (nel senso positivistico di attendibilità "esterna" di una fonte) di quelle confessioni. Secondo la Murray, i

convegni descritti dalle imputate erano reali, e la stregoneria era una religione antichissima, un culto precristiano di

fertilità, in cui i giudici, più o meno scientemente, non sapevano vedere che una perversione diabolica. Questa tesi,

pur racchiudendo, come diremo, un nocciolo di verità, era formulata in maniera del tutto acritica (5); inoltre la

ricostruzione dei lineamenti del presunto culto di fertilità era  compiuta sulla base di processi molto tardi, in cui

l'assimilazione dello schema inquisitoriale (sabba, connubi con il demonio e via dicendo) era ormai compiuta. Eppure,

nonostante questi difetti sostanziali, la «tesi» della Murray, respinta al suo apparire da antropologi e folkloristi, finì poi

con l'imporsi. Mancava infatti - e manca, se non sbaglio, ancora oggi - un'altra interpretazione complessiva della

stregoneria popolare: e la tesi della studiosa inglese, depurata delle sue affermazioni più arrischiate, sembrò più che sensata

là dove scorgeva nelle orgie del sabba la deformazione di un  antico rito di fertilità. In questa versione mitigata essa venne

riformulata, tra gli altri, da W. E. Peuckert (6) . Eppure non è facile dimostrare che la stregoneria popolare

(distinta dalle superstizioni generiche e non riconducibili a un culto preciso, quali i filtri d'amore, i malefizi e via dicendo)

risaliva in realtà a un antico culto di vegetazione e di fertilità.Una prima obiezione è già stata formulata a proposito dei

lavori della Murray: non ci si può fondare acriticamente sulle confessioni delle streghe senza discriminare quanto in esse è

di provenienza inquisitoriale e quanto invece è di origine genuinamente popolare. Ma si tratta di un'obiezione non

invalicabile. Già J. Marx notò l'esistenza di un gruppo di credenze che, pur essendo di origine inequivocabilmente

popolare, presentavano tuttavia una certa analogia con il sabba stregonesco schematizzato da teologi e inquisitori (7).

Più recentemente, L. Weiser-Aall ha sottolineato l'esistenza di questo punto di contatto tra la stregoneria popolare e quella

colta (8). Si tratta di credenze, testimoniate per la prima volta  nel secolo Decimo, ma risalenti sicuramente a un periodo

anteriore (9), in misteriosi voli notturni, soprattutto di donne, verso convegni dove non vi è traccia di presenze diaboliche, di

profanazione di sacramenti o di apostasia della fede - convegni presieduti da una divinità femminile, chiamata ora

Diana, ora Erodiade, ora Holda o Perchta. La presenza di divinità legate alla vegetazione come Perchta o Diana significa

che le credenze sottostanti alla più tarda stregoneria diabolica sono riconducibili a culti di fertilità? E' un'ipotesi più che

verosimile, che tuttavia non è stata ancora dimostrata adeguatamente. Si è messo su questa via uno studioso

tedesco, A. Mayer (10), che a mio parere è andato più vicino d'ogni altro alla retta impostazione del problema. Anche il suo

tentativo, tuttavia, fondato su una documentazione esile e insufficiente, è sostanzialmente fallito. Ad esso del resto si

può muovere una seconda obiezione, non facilmente Superabile: e cioè di non spiegare - analogamente alla Murray

- come mai le streghe, sacerdotesse di questo presunto culto di fertilità, appaiano fin dall'inizio (e non soltanto nella

stregoneria tarda, deformata dalle sovrapposizioni dei giudici) in veste di nemiche dei raccolti, di evocatrici di grandini e di

tempeste, di portatrici di sterilità a uomini, donne e animali 11) . Ora, la presente ricerca accerta in una zona come il

Friuli, dove confluivano tradizioni germaniche e slave, la presenza inequivocabile, in data relativamente avanzata (dal

1570 circa) di un culto di fertilità, i cui portatori i benandanti - si presentavano come difensori dei raccolti e della fertilità dei

campi. Da un lato, questa credenza si ricollega a un più vasto complesso di tradizioni (connesse, a loro volta, con il mito dei

convegni notturni presieduti da divinità femminili, come Perchta, Holda, Diana) in un'arca che va dall'Alsazia all'Assia,

alla Baviera, alla Svizzera. Dall'altro, essa si ritrova pressoché identica in Lituania. Di fronte a una simile dislocazione

geografica non è arrischiato supporre che in antico queste credenze dovettero essere diffuse in gran parte dell'Europa

centrale. Nel giro di un secolo i benandanti diventano, come Vedremo, stregoni, e i loro convegni notturni volti a procurare

fertilità si trasformano nel sabba diabolico, col suo corredo di tempeste e di distruzioni. Per il Friuli, si può affermare con

sicurezza che la stregoneria diabolica si diffuse come formazione di un precedente culto agrario. E' naturalmente

impossibile estendere senz'altro, per analogia, questa conclusione ad altre regioni d'Europa; tuttavia, per quanto

parziale e circoscritta, essa può costituire un'ipotesi per ulteriori ricerche. Fin d'ora, comunque, la presenza di questo

gruppo di credenze in una zona estesa e cruciale, implica, a mio parere, un'impostazione in gran parte nuova del

problema delle origini popolari della stregoneria .

4. Folkloristi e storici delle religioni potranno trarre da questo materiale documentario illazioni ben più vaste -

correggendo gli errori e integrando le lacune d'informazione di chi scrive, e facendo inoltre un uso più largo del metodo

comparativo. Di quest'ultimo mi sono servito, come si vedrà, con molta cautela: o, per essere più precisi, mi sono servito di

uno solo dei due metodi di comparazione distinti a suo tempo da M. Bloch - quello più propriamente storiografico. Per

questo motivo, non è stato affrontato il problema della connessione, indubitabile, esistente tra benandanti e sciamani

(12). E con questo veniamo ai caratteri e ai limiti di impostazione di questa ricerca . Sui benandanti mancano

studi di qualsiasi genere. loro che si sono occupati, con intenti scientifici o rievocativi, delle tradizioni popolari friulane - G.

Marcotti, E. Fabris Bellavitis, V. Ostermann, A. Lazzatini, G. Vidossi e altri - hanno registrato il termine «benandante»

come sinonimo di «stregone», senza tuttavia intravedere dietro ad esso l'esistenza di un problema (139. Ciò non per

trascuratezza o difetto di analisi, ma per aver limitato (tra l'altro per ragioni obiettive, come la difficoltà di accedere alla

documentazione conservata nell'archivio della Curia Arcivescovile di Udine) l'indagine alle attestazioni orali, o

comunque risalenti alla fine del secolo scorso o ai primi anni del nostro. In realtà, la sinonimia tra «benandante» e

«stregone» costituisce, come mostreremo, soltanto lo stadio terminale e cristallizzato di uno sviluppo complesso,

contraddittorio, che è possibile ricostruire con notevole precisione nelle sue varie fasi .

Si può quindi affermare che la possibilità stessa di questo studio era in un certo senso legata a una impostazione diversa

da quella folkloristica tradizionale. Questa iniziale diversità è stata volutamente accentuata nel corso della ricerca. Si è

cercato infatti di cogliere dietro l'apparente uniformità di queste credenze i diversi atteggiamenti degli uomini e delle

donne che le vivevano, e il loro modificarsi sotto l'impulso di sollecitazioni di vario genere, tanto popolari che inquisitoriali.

Gli aspetti specificamente folkloristici del problema sono stati così nettamente subordinati a una prospettiva di ricerca

dichiaratamente storica .

Nel corso di queste ricerche sono stato aiutato da molte persone: mi è impossibile ringraziare tutti. Ricordo coloro che

mi hanno agevolato, direttamente o indirettamente, l'accesso alla documentazione: anzitutto, lo scomparso monsignor Pio

Paschini; monsignor Guglielmo Biasutti (in modo particolare) e monsignor Garlatti, rispettivamente bibliotecario e

cancelliere della Curia Arcivescovile di Udine; monsignor Romeo De Maio, della Biblioteca Vaticana; padre

Massimiliano Peloza; Vinko Foretich, già direttore dell'Archivio di Stato di Dubrovnik; Angelo Tamborra, Paolo

Sambin e Marino Berengo. Ringrazio inoltre la Fondazione Luigi Einaudi, che mi ha concesso una borsa di studio per

l'anno 1962, e Norberto Bobbio, Luigi Firpo, Aldo Garosci e Franco Venturi che hanno seguito il mio lavoro in quel

periodo. Il Warburg Institute di Londra, su proposta della compianta Gertrud Bing, mi ha dato nell'estate 1964 la

possibilità di servirmi della sua biblioteca, uno strumento di lavoro insostituibile: ringrazio il direttore, E. H. Gombrich,

per l'indimenticabile ospitalità, e O. Kurz e A. A. Barb per i loro consigli e indicazioni. Un incoraggiamento a proseguire

queste ricerche mi è venuto da un incontro con il compianto Ernesto De Martino. Una prima stesura di questo lavoro è

stata presentata e discussa nella primavera 1964 come tesi di perfezionamento presso la Scuola normale superiore di Pisa:

ringrazio per le critiche e i suggerimenti Armando Saitta, e gli altri relatori Arsenio Frugoni e Cinzio Violante. Ad altri aiuti e

suggerimenti accenno nel corso del volume . Delio Cantimori ha letto la prima stesura di questo libro.

Per i suoi preziosi consigli, e per tutto ciò che ho imparato da lui, mi è caro esprimergli qui la mia profonda gratitudine .

Roma, marzo 1965

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