ORGOGLIO GORIZIANO, QUATTRO INCONTRI IN SALA DORA BASSI

ROSA DI GORIZIA: FACCIAMOCI DEL MALE

Nel gennaio 2010 una equipe di cuochi di fama mondiale, o citando dal sito Nespresso ..“ un’equipe di spiriti liberi, di geni della cucina: Albert Adrià, Iñaki Aizpitarte, Alex Atala, Pascal Barbot, Claude Bosi, Massimo Bottura, David Chang, Quique Dacosta, Yoshihiro Narisawa, Petter Nilsson, René Redzepi e Davide Scabin” arriva in Friuli nell’ambito dell’iniziativa “Cook it raw” e tra tutte le delizie della nostra regione, rimangono colpiti dal nostro squisito radicchio ( radicchi: la Rosa di Gorizia e il Canarino : qui sopra è raffigurata una loro strepitosa ibridazione)  e, sono stato testimone diretto, della meraviglia invernale e internazionale suscitata dal nostro stupendo mercato coperto.

Da quel momento in poi la Rosa di Gorizia esce dalla meritoria ma limitata attenzione  di alcuni cultori di gastronomia tipica per diventare un must della cucina internazionale. Pochi mesi dopo, anche sull’onda di questi successi e incoraggiati dal Comune di Gorizia   si costituisce l’associazione “Produttori Radicchi  Rosso di Gorizia o Rosa di Gorizia e/o Canarino di Gorizia”. Tra gli obiettivi inscritti nello Statuto si legge: “qualora si presentasse l’esigenza o la possibilità, depositerà il marchio di tutela del nome delle suddette produzioni agricole e il relativo disciplinare di produzione.”

Ma siamo a Gorizia, per cui un’occasione unica di sviluppo turistico legato al comparto enogastronomico capotta in partenza, per qualche baruffa e qualche astuzia – secondo gopolis - di troppo. Per chi vuole capire qualcosa della strana vicenda della Rosa di Gorizia è necessario partire dalle origini, ovvero dalla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 21 agosto 2000, quando il Ministero delle politiche agricole e forestali stila l’Elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali, che riportiamo nella pagina sottostante e in cui sono citati tra i prodotti vegetali allo stato naturale o trasformati il radicchio canarino e la Rosa di Gorizia: all’articolo 5 del decreto si legge testualmente:

Il nome di ciascun prodotto, il suo eventuale sinonimo o termine dialettale non può costituire oggetto di deposito e di richiesta di registrazione, ai sensi della vigente normativa comunitaria e nazionale sulla proprietà intellettuale e industriale, a decorrere dal presente decreto nella Gazzetta Ufficiale della repubblica Italiana.

L’impianto ci sembra chiaro, ma più o meno alla fine del fatidico 2010 quando dopo alcuni incontri il Comune di Gorizia, in particolare il sottoscritto, vista l’ esigenza di rafforzare la tipicità e il legame storico con Gorizia di questi prodotti ci sembrò giusto , d’accordo con l’associazione Rosa di Gorizia di chiedere la registrazione del marchio alla Camera di commercio di Gorizia. Un’iscrizione del marchio  Rosa di Gorizia nel registro della Camera di commercio sotto l’egida neutra ma significativa del massimo rappresentante della comunità cittadina, appunto il Comune.

La Camera di commercio di Gorizia ci negò l’iscrizione, motivando il diniego proprio con il decreto pubblicato sulla Gazzetta ufficiale e in particolare con quell’articolo 5 soprariportato: neppure il Comune di Gorizia poteva richiedere la registrazione di un marchio inserito nella lista succitata. Fummo delusi certamente: con il senno di poi si potrebbe anche lodare la pignoleria asburgica della nostra Camera di commercio, così diversa da quella di Udine che qualche tempo dopo, inopintamente, registrò il marchio Rosa di Gorizia a nome di un imprenditore goriziano, titolare di un’avviata impresa, chiamata Bio Lab,  che produce e distribuisce cibi biologici.

Da quel momento in poi la Rosa di Gorizia ha vita difficile. Il radicchio conteso viene tirato da una parte e dall’altra come fosse un elastico, ovviamente senza quei vantaggi per Gorizia e il suo turismo che indubbiamente un prodotto così  raro e soprattutto sopraffino  a detta dei più grandi chef mondiali avrebbe potuto dare. Niente di strano, in realtà, in una città come Gorizia, che è stata capace di perdere senza dire bah! La titolarità di ben due zone a doc di pregio elevatissimo, come il Collio Goriziano e l’Isonzo.

La situazione attuale è quindi questa: da una parte gli agricoltori goriziani che fanno parte dell’associazione Rosa di Gorizia i quali sono certamente garanzia del persistere di una tradizione assolutamente preziosa. Una coltivazione difficile, complessa, che solo l’amore per le proprie tradizioni ha mantenuto viva. La Rosa di Gorizia infatti non è certo un prodotto da esportazione, se non in minima parte. Ma qui sta il nocciolo del ragionamento che gopolis ha intrapreso insieme all’associazione Rosa di Gorizia.

Il fatto è che il nostro radicchio è squisito  per una serie di ragioni cui neppure Gorizia, con tutta il suo perverso masochismo può rinunciare. Citiamo dal sito di slow food :  “Conosciuta – la Rosa di Gorizia,ndr - fin dai tempi degli Asburgo, tanto che il funzionario austriaco Karl von Czoernig la cita nel 1874 nella sua monumentale opera dedicata a Gorizia ed al suo territorio, grazie alla sua commercializzazione sui mercati locali e soprattutto su quello di Trieste è riuscita a mantenere la sua fama fino ai giorni nostri. Negli ultimi anni la fama si è ulteriormente diffusa sia a livello nazionale che europeo. Negli anni ‘50 del secolo scorso, questo radicchio, mediante l’impollinazione con una varietà da taglio, ha dato origine al radicchio canarino, identico in tutto e per tutto a quest’ultimo, tranne che per il colore che risulta essere giallo canarino, appunto, con variegature di rosso di varia gradazione. Il canarino ha avuto diffusione nel mercato locale ma recentemente la sua fama si è diffusa anche a livello nazionale. L’aumento della popolarità di questi radicchi purtroppo è inversamente proporzionale alla loro produzione che ormai è limitata a pochi ettari coltivati dai pochi contadini che ancora portano avanti una coltivazione lunga e laboriosa.” 

Scarsa produzione quindi: ma una squisitezza che unita alle altre delizie del territorio, tra cui la Ribolla Gialla del Collio Goriziano, magari la nostra gubana – che non è il Presnitz e tanto meno l’omonima  di Cividale – potrebbe anche indurre qualche turista a passare un week end a Gorizia, poponendogli a latere qualche argomento di natura artistica e culturale che noi abbiamo più volte suggerito. Quindi noi facciamo il discorso esattamente inverso a coloro che vorrebbero commercializzare una produzione del prodotto fresco – perché fresca e croccante e nella sua stagione  va gustata la Rosa di Gorizia - che sarebbe sufficiente per il fabbisogno dei ristoratori locali, dei migliori ristoranti regionali (cosa che peraltro già avviene) e pochi altri locali nazionali al topo della cucina italiana. La rosa di Gorizia, quella vera quindi, il Radicchio Canarino quindi, al centro di una promozione autunno.-inverno che privilegi la nostra città. Il resto come i prodotti derivati, vedi la grappa, sono un ottimo contorno. 

ANTONIO DEVETAG

GOPOLIS

 

 

LA GAZZETTA UFFICIALE DEL 21 AGOSTO 2000 - ROSA DI GORIZIA

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