ORGOGLIO GORIZIANO, QUATTRO INCONTRI IN SALA DORA BASSI

UN MUSEO VIVO

THEATRUM INSTRUMENTORUM

Ospitato nella splendida Sala degli Stati Provinciali del Castello di Gorizia, la mostra permanente degli strumenti antichi realizzata dall’Insieme Dramsam diretta da Paolo Cecere e dall’Accademia Jaufrè Rudel in collaborazione con l’allora assessore alla cultura Antonio Devetag  è interamente dedicata agli strumenti musicali in uso in Europa tra basso medioevo e primo periodo barocco (dal secolo XI sino al XVII) ed è composta da circa cento riproduzioni, filologicamente curate e funzionanti, di strumenti musicali a corde, a fiato e a percussione. 

 

 

 

 

 

 

 

Una rassegna eccezionale, che richiama all'origine stessa della musica occidentale: vi trovano ospitalità un vasto repertorio di viole, viole da braccio, vielle, lire, ribeche, viole da gamba, ghironde, liuti medievali, rinascimentali e barocchi, arpe e salteri, organi portativi e spinette, ciaramelle e bombarde, cornamuse medievali e rinascimentali, e interessanti strumenti a percussione. La finalità principale della mostra è quella di proporsi come attraente veicolo didattico e di informazione. Corredata di sussidi audiovisivi l'esposizione trova nell'arte pittorica (spesso unica testimonianza affidabile) il suo referente ideale. Una mostra eccezionale, assolutamente in linea con  l’idea di Devetag di fare del Castello di Gorizia il Museo didattico dell’intera e interessantissima storia della Gorizia Medievale. “ Nel 1994 – afferma Devetag – appena insediato nella giunta dell’allora sindaco Valenti quale assessore alla cultura e al turismo, il primo obiettivo che ci proonemmo fu quello di ttrasformare il Castello, da vuoto contenuitore di mobili secenteschi e di qualche suppellettile, un museo didatticop che raccontasse l’affascinante storia del Medioevo Goriziano. Thetrum instrumentoruim fu il vivo compimento di quel progetto.” Theatrum Instrumentorum è anche il centro dell’attività di rcerca e di divulgazione musicale dell’Insieme Dramsam che vi tiene affollati concerti apprezzati ormai in tutta Europa.

 

THEATRUM INSTRUMENTORUM 

REGISTRATO AL CASTELLO DI GORIZIA

Veris dulcis in tempore   - INSIEME DRAMSAM

 ( Carmina Burana- Carmina Veris)    XII-XIII sec

Gli strumenti musicali nel medioevo europeo

Di Paolo Cecere

Il medioevo rappresenta per la musica occidentale, quale oggi la conosciamo, il momento più intenso di sviluppo e quello più denso di fondamentali scelte ed acquisizioni. E’ proprio durante quest’epoca che nasce e si perfeziona un sistema adeguato di  notazione musicale , che si delineano generi e forme musicali che giungeranno sino ai nostri giorni,  che si definisce e sviluppa la concezione polifonica della musica e che vengono acquisiti, inventati, adottati e perfezionati la gran parte degli strumenti per fare musica che saranno parte integrante della storia musicale dei secoli successivi.  Si può affermare che è proprio nel medioevo che la musica occidentale non solo trova una sua definizione ma definisce praticamente tutti gli strumenti teorici essenziali al suo divenire. 

 

 

           

 

 

 

Nel medioevo vengono progressivamente delineandosi due atteggiamenti diversi del “fare musica” : il primo, quello  sancito autorevolmente dall’ambiente culturale e che può essere identificato come  “l’atteggiamento ufficiale”, è quello legato alla dimensione teorica della musica, che vede nel “teorizzare sulla musica” la sua più sincera espressione e che si esplica nel silenzio dei sensi e nella contemplazione tutta intellettuale del meccanismo musicale “delle sfere”. Questo atteggiamento tiene in scarsa considerazione, se non addirittura in disprezzo, il ricorso agli strumenti “meccanici” propri della dimensione “instrumentalis” della musica. L’altro atteggiamento è quello che invece si traduce nella pratica musicale, che  viene diffondendosi in ogni livello sociale e culturale, e che si realizza nella sfera del “sensibile”: quello della musica che non è puramente teorica ma invece percepibile all’udito ed ottenuta mediante il canto e l’uso degli strumenti musicali.             La musica è annoverata, nel medioevo, tra le sette arti liberali ed è, assieme alle altre discipline dedite allo studio dei numeri e delle proporzioni  (astrologia, geometria ed aritmetica), una delle quattro che formano il Quadrivium. L’interesse del teorico nei riguardi della musica è mediato , e strettamente delimitato, dagli elementi teorici e filosofici dettati dalla tradizione  che trova i suoi fondamenti soprattutto nella trattazione di Boezio.

Boezio opera una fondamentale tripartizione del fenomeno musicale: in primo luogo individua una musica mundana (la musica celeste, frutto del moto degli astri e specchio dell’ordine divino), una musica humana (musica dell’armonia tra spirito e corpo) ed una musica instrumentalis, pallida imitazione delle due precedenti ed ottenuta mediante lo strumento musicale.  Nel De istitutione musica boeziano, la musica instrumentalis viene liquidata con poche parole “..la terza musica è quella che si dice consistere in alcuni strumenti. Questa musica viene prodotta con una tensione come con le corde o per mezzo del fiato come nelle tibie o con quegli strumenti che sono mossi dall’acqua o con una percussione o con quelli che battendo in certi bronzi concavi producono diversi tipi di suoni..... i citaredi e coloro che rendono gradita la loro arte mediante l’organo e altri strumenti musicali sono lontani dalla comprensione della scienza musicale perché hanno la funzione di servi e non apportano alcun elemento razionale..”.

            Per i teorici medievali il ricorso allo strumento musicale, nell’intento di  rendere percepibili al mondo dei sensi le proporzioni dei “musicabili numeri”, pare inadeguato ed assolutamente sconsigliabile. Sarà comunque nel corso del Basso Medioevo che questa posizione verrà progressivamente mitigandosi e volgendosi, passo passo, ad una nuova concezione del “fare musica” ed al delinearsi della figura del musicista in senso moderno (sintesi di teoria e pratica).

            All’interno del vario mondo medievale molti sono gli spazi ed i momenti che prevedono la presenza della musica,  e quindi anche degli strumenti musicali, vuoi in una dimensione musicale compiuta, vuoi limitatamente alla funzione di “segnale”.            La liturgia, la preghiera, il pellegrinaggio, la guerra, la medicina, l’intrattenimento e la segnalazione: per ognuno di questi momenti si vengono via via delineando e specializzando, a seconda delle esigenze, una serie di utensili musicali e di persone addestrate ad utilizzarli. Dai semplici strumenti a percussione o a fiato concepiti per essere usati all’interno di precisi codici di segnalazione (campane, corni e tamburi) a strumenti più complessi che richiedono via via una specializzazione esecutiva più precisa e definita.      Le due prime grandi famiglie nelle quali vengono raggruppati gli strumenti musicali sono quelle che definiscono gli strumenti in base alle loro qualità dinamiche: strumenti alti, ovvero strumenti dotati per loro natura di un suono potente, e strumenti bassi, ovvero strumenti dal suono più contenuto dinamicamente.         

Gli strumenti alti sono quelli adatti a suonare in spazi aperti, e quindi anche adatti ad essere utilizzati per segnalare ; gli strumenti bassi sono quelli adeguati ad una utilizzazione in spazi contenuti ed acusticamente adeguati .

Tra gli strumenti alti : le trombe, i corni, le cornamuse, i ciaramelli, i tamburi, le campane ecc.; tra gli strumenti bassi : le arpe, le vielle, le ribeche, i liuti, i salteri , gli organi, le ghironde ecc. Questa prima grossolana distinzione (molte saranno le eccezioni possibili) già sancisce una prima, seppur non definita nei particolari, distinzione qualitativa relativa alla natura degli strumenti musicali, che vede negli strumenti bassi qualità più affini alla dimensione “alta” del fare musica. Saranno infatti prevalentemente gli strumenti a corda quelli che godranno sia del favore di teorici e musicisti che dell’indulgenza dei censori.     Gli strumenti a fiato porteranno poi per lungo tempo il peso di una presunta qualità “dionisiaca” del fare musica ( la siringa di Dioniso) contrapposta alla qualità “apollinea” attribuita invece agli strumenti a corda(la lira di Apollo). Distinzione questa della quale ancora tutt’oggi, in qualche misura, possiamo sentire gli effetti.    Per restare nel campo della musica profana, ma anche di quella devozionale non liturgica, saranno le vielle, le arpe, i liuti e i salteri quegli strumenti che principalmente godranno del favore di trovatori, di musici e teorici; saranno invece le occasioni civili (feste, cortei, parate) quelle che invece si avvarranno della presenza degli strumenti “alti”.

 

            Non esiste, nel Medioevo, una precisa distinzione tra interprete ed autore, e non esistono neppure figure “professionali” distinte quali quelle del compositore o dello strumentista in quanto queste attività non sono neppure generalmente configurabili come professioni ma bensì come abilità sussidiarie; in genere lo strumentista è anche un artigiano o un nobile o un mendicante o quant’altro. Il musicista (musicus) è un uomo di lettere o un notaio o comunque una figura di intellettuale in grado di maneggiare o padroneggiare la teoria musicale e che solitamente guarda con disprezzo o sufficienza alla attività materiale del trarre suoni da strumenti meccanici. Il giullare, figura retorica del musicista medievale, è generalmente un mestierante, solitamente ignorante, che, se è in grado di suonare un qualche strumento, è però soprattutto abile nell’intrattenere il suo pubblico occasionale con acrobazie, giochi di abilità e lazzi, molte volte volgari e grossolani. Nulla però impedisce al musicus di coltivare abilità strumentali ma queste non sono richieste e rappresentano un corollario non necessario alla abilità teorica. Solo ad uno mezzo musicale è riconosciuta dignità e questo  è il canto;  ed in questa visione lo “strumento musicale meccanico”  si configura come imitazione, più o meno riuscita, di questo “unico vero strumento”.         

Questa ultima considerazione dà luogo ad un altro sottile gioco di gerarchie che premia con uno status superiore quegli strumenti che possono, per le loro qualità sonore, considerarsi più vicini alla voce.Tuttavia questo, perlomeno ostentato, disprezzo teorico nei confronti degli strumenti musicali non è d’ostacolo alla loro diffusione ed al loro utilizzo anche nelle cerchie più esclusive dell’alta nobiltà e delle gerarchie ecclesiastiche. “ Nessuno che sia soggetto alla legge ecclesiastica...deve eccedere in quelle splendidezze mondane che i secolari e i prìncipi laici sogliono usare, cioè canti secolareschi, suoni di lire e di tibie e simili: ma se si diletta di cantici e di inni spirituali li componga togliendoli in modo degno e conveniente dalla Sacra Scrittura. Da questi non soltanto non comandiamo di astenersi, anzi, essendo noi stessi conniventi ne concediamo l’augurio dell’uso”  A parlare è il Patriarca Paolino d’Aquileia nel Concilio provinciale del 796, e qui non solo accenna ad una sua attività creativa in  ambito musicale ma lascia anche trasparire, alle sue spalle, attività musicali blandamente riprovate ma evidentemente assai diffuse e praticate già in questi tempi lontani. Le citazioni documentarie e letterarie, le riprovazioni e le condanne di costumi diffusi in ambito musicale si sprecheranno poi nei secoli successivi lasciando trasparire sì un mondo aspro e difficile ma tuttavia permeato di musica.   Ad un disprezzo proclamato fa riscontro la vitalità della musica instrumentalis ad ogni livello di vita sociale. Mentre gli strumenti musicali vengono via via arricchendo, simbolicamente ed esteticamente, gli angiolini musicanti delle raffigurazioni sacre nelle chiese, nella pratica gli strumenti musicali servono tanto a cantare le lodi alla Madre Celeste quanto a intonare canti di critica politica o danze  popolane o di corte. Essi vestono di suoni tanto le rime “leggere” che quelle “aspre e sottili” dei trovatori, risuonano nelle chiese dove le confraternite di Laudesi si riuniscono per cantare le lodi al Signore, riempiono le corti e corteggiano i monasteri. La figura del “musico pratico”, che compone musica per i sensi,   viene progressivamente modificandosi fino a confondersi con quella del teorico e sul finire del Trecento un matematico, astrologo e musico quale Francesco Landini dovrà la sua fama internazionale tanto alle sue qualità di intellettuale quanto alla sua abilità di organista.

       

Giuseppe Paolo Cecere

Accademia Jaufrè Rudel

 

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